Insula dorsale fondamentale nel dolore umano
DIANE RICHMOND
NOTE
E NOTIZIE - Anno XIII – 21 marzo 2015.
Testi pubblicati sul sito
www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind
& Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a
fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta
settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in
corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di
studio dei soci componenti lo staff dei
recensori della Commissione Scientifica
della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
Gli stimoli dolorosi sono trasmessi dalla periferia all’encefalo come informazione nocicettiva veicolata da fasci nervosi del midollo spinale al talamo. Si distinguono cinque principali vie della sensibilità dolorifica[1] che, già per numero ed estensione, attestano l’importanza della percezione del dolore per la sopravvivenza dell’individuo e il successo della specie in chiave evoluzionistica. Per le stesse ragioni, sono numerose le formazioni e le aree cerebrali implicate nella complessa attivazione neurofunzionale che corrisponde all’esperienza del dolore.
Meccanismi corticali esercitano una probabile azione di regolazione sull’afferenza nocicettiva e determinano l’esperienza psichica del dolore. Le regioni corticali attivate dalla sofferenza fisica includono aree limbiche, paralimbiche e sensoriali; in particolare: la corteccia anteriore del giro del cingolo (circonvoluzione cingolata) o corteccia cingolata anteriore (ACC, da anterior cingulate cortex), la corteccia dell’insula (Insula di Reil o IC, da insular cortex), la corteccia prefrontale (PFC, da prefrontal cortex) e le aree corticali somatosensoriali primarie e secondarie (S1 e S2). Le aree del cervello, studiate con vari metodi, sono implicate sia nella modulazione del dolore legata al sistema di segnalazione oppioide che in quella indipendente da questo sistema. Sebbene le azioni periferiche e spinali degli oppioidi siano importanti per l’analgesia, i recettori oppioidi nella corteccia cingolata possono essere di particolare rilievo nella mediazione di aspetti emozionali dell’esperienza del dolore. Altre molecole importanti nel cervello, come il neurotrasmettitore catecolaminico dopamina, hanno un ruolo nella modulazione centrale della nocicezione.
Cambiamenti nell’attività corticale evocata dal dolore esprimono gli effetti di fattori psicologici quali lo stato emozionale, il livello di attenzione e le aspettative, che probabilmente attivano circuiti modulatori intrinseci discendenti. Le manifestazioni dolorose rilevate clinicamente spesso sono caratterizzate dall’attivazione delle stesse regioni cerebrali del dolore sperimentale acuto, ma esistono delle differenze che probabilmente riflettono alterazioni nei sistemi modulatori del dolore e, nel caso del dolore cronico, le risposte di adattamento e scompenso psicologico che innescano stati fisiopatologici cerebrali spesso complessi. Numerose evidenze di danni strutturali del cervello nel dolore cronico suggeriscono che tali alterazioni agiscano alimentando un circolo vizioso patogenetico che mantiene lo stato algico. Gli studi più recenti hanno indagato le basi patologiche del dolore cronico, riconoscendo una natura sostanzialmente diversa da quella del dolore acuto: il dolore cronico è stato infatti considerato per vari aspetti come una vera e propria malattia neurodegenerativa[2].
Negli ultimi 25 anni di studi, un cammino sperimentale non facile, che spesso ha messo a confronto vantaggi, pregi, difetti, artefatti e limiti delle metodiche di indagine che si sono andate affermando nel corso del tempo, ha progressivamente delineato nel cervello umano una rete di aree cerebrali del dolore (pain network) ed ha sviluppato studi comparati e modelli animali.
Dagli studi su questa rete cerebrale emerge un aspetto con una notevole evidenza: varie regioni sono state implicate nella mediazione delle sensazioni di sofferenza, ma per nessuna di esse è stata provata la specificità per il dolore.
A partire da questa osservazione, Irene Tracey[3], con colleghi della Perelman School of Medicine dell’Università della Pennsylvania a Filadelfia e del Dipartimento di Neuroscienze Cliniche dell’Università di Oxford, ha condotto uno studio con metodiche e procedure molto avanzate allo scopo di individuare, se esiste, una specificità per l’elaborazione cerebrale degli stimoli dolorosi (Segerdahl A. R., et al., The dorsal posterior insula subserves a fundamental role in human pain. Nature Neuroscience – Epub ahead of print doi:10.1038/nn.3969, 2015).
La provenienza
degli autori dello studio è la seguente:
Center for Clinical Epidemiology and Biostatistics, Perelman School of
Medicine, University of Pennsylvania, Philadelphia, Pennsylvania (USA); Nuffield
Division of Anesthetics, Centre for Functional Magnetic Resonance Imaging of
the Brain (FMRIB), Nuffield Department of Clinical Neurosciences, University of
Oxford, Oxford (Regno Unito).
Ad oggi sono centinaia gli studi di neuroimmagine che hanno esaminato, in soggetti non affetti da malattie, le regioni corticali e sub-corticali che prendono parte all’elaborazione di stimoli dolorosi acuti. I patterns di attivazione rilevati differiscono da studio a studio, tuttavia, nell’insieme, si rilevano significative concordanze, dalle quali emerge l’esistenza di una rete corticale e sottocorticale che comprende aree sensoriali, limbiche, associative e motorie. Le regioni più frequentemente attivate dagli stimoli dolorifici acuti, impiegati a scopo sperimentale, sono S1, S2, ACC, IC, PFC, talamo e cervelletto. L’attività evocata dal dolore in queste aree è spesso rilevata sia alla PET sia alla fMRI, e trova corrispondenza topografica negli studi anatomici, che dimostrano una probabile connettività nocicettiva fra queste regioni. È interessante notare che le aree encefaliche che risultano attivate negli studi di neuroimaging ricevono inputs nocicettivi diretti o indiretti. Nei primati, S1 e S2 ricevono afferenze somatosensoriali innocue e nocive dal talamo somatosensoriale. La corteccia cingolata riceve segnali dai nuclei talamici mediali che contengono neuroni nocicettivi, come la parte ventrocaudale del nucleo mediale dorsale e il nucleo parafascicolare, ed altre afferenze dalle aree laterali del talamo, inclusa la parte ventrale del nucleo ventroposteriore e il nucleo ventroposteriore inferiore. Alcuni studi hanno rilevato l’evocazione di potenziali nella ACC umana da parte di stimoli dolorosi; reperto coerente con l’identificazione di neuroni nocicettivi nella ACC di uomo, scimmia e coniglio. Numerosi dati indicano un precipuo ruolo della ACC nell’elaborazione del dolore, distinto dai ruoli che questa regione svolge in processi cognitivi come l’attenzione.
La corteccia dell’insula (IC) nei primati riceve dirette afferenze nocicettive talamocorticali e una distinta ed intensa attività nocicettiva è stata registrata dalla corteccia insulare umana[4].
Infine, uno studio che ha impiegato la tecnica del trasporto anterogrado virale ha fornito la prima evidenza diretta della via spino-talamo-corticale nella scimmia, rilevando e dimostrando che i fasci assonici terminano in quantità prevalenti in S2, IC ed ACC, rispetto a S1[5].
Al livello periferico e nelle vie centrali della sensibilità dolorifica nei tratti appartenenti al midollo spinale e al tronco encefalico, la specificità relativa o assoluta è nozione neurofisiologica classica, ma nelle aree corticali e nelle formazioni grigie sottocorticali cerebrali non è stata provata. Quanto la ragione del mancato rilievo di specificità si debba attribuire al livello di elaborazione delle sensazioni veicolate alla corteccia dalle vie dolorifiche[6] e quanto dipenda, invece, da un’insufficiente analisi funzionale, è difficile dirlo. Andrew R. Segerdahl e i colleghi del gruppo di Irene Tracey, propendendo più per la seconda ipotesi, hanno intrapreso il loro studio alla ricerca della specificità.
I ricercatori hanno sfruttato una metodica di neuroimaging di provata efficacia (arterial spin-labeling quantitative perfusion imaging) e una procedura sviluppata molto di recente, per verificare un ruolo specifico nel dolore dell’insula posteriore dorsale. L’ipotesi è stata formulata sulla scorta di notevoli dati emersi da precedenti studi e, in particolare, sull’identificazione nella sperimentazione animale di una regione simile, con provata specificità, della quale l’insula posteriore dorsale potrebbe essere omologa.
I risultati, per i quali si rimanda alla lettura del lavoro originale, sembrano confermare con estrema evidenza l’ipotesi avanzata dai ricercatori, proponendo dati accostabili a quelli ottenuti con le tecniche di tracciatura dei tratti cerebrali, che hanno evidenziato negli animali studiati una regione specificamente dedicata al dolore e fondamentale per la nocicezione. Pertanto, l’insula posteriore dorsale, in attesa di ulteriori verifiche sperimentali, sembra si possa considerare una regione del cervello umano specifica per l’elaborazione del dolore e, verosimilmente, per tale specificità e per omologia con l’area individuata negli animali, di fondamentale importanza fisiologica.
L’autrice della nota ringrazia la
dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza, e invita alla
lettura delle numerose recensioni di argomento connesso che appaiono nella
sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina
“CERCA”).
[1] Spino-talamica, spino-mesencefalica (o spino-parabrachiale), spino-reticolare, cervico-talamica, spino-ipotalamica. Tutte le vie ascendenti della sensibilità dolorifica hanno origine nel corno dorsale del midollo spinale; il fascio cervico-talamico contiene assoni dei neuroni del nucleo cervicale laterale che ricevono afferenze dalle lamine III e IV.
[2] Si veda nella sezione “IN CORSO”: “Dolore cronico e danno neurodegenerativo”. Si rinvia a questo articolo anche per una trattazione sintetica di tutta la neurofisiologia del dolore, dai recettori alla rete discendente che costituisce il sistema endogeno dell’analgesia ed include il grigio periacqueduttale. In questo scritto è anche bene illustrato il meccanismo di “filtro al varco” scoperto da Wall e Melzack nel 1965 e proposto come Gate Control Theory.
[3] Ricordiamo che Irene Tracey, editor del celebre trattato di Wall e Melzack (v. dopo), è autrice di numerosi studi, fra i quali: Tracey I., Imaging Pain. Br. J. Anaesth 101: 32-39, 2008.
[4] Frot & Mauguiere (2003), cit. in Apkarian A. V. et al., 2013 (v. dopo).
[5] Stephen B. McMahon et al. (editors) Wall and Melzack’s Textbook of Pain, pp. 111-128 (Apkarian A. V. et al.,
Representation of Pain in the Brain, ch. 7). Elsevier Saunders, Philadelphia 2013.
[6] Trattata più come uno stato psichico che come un’afferenza sensoriale (si vedano in proposito gli scritti di Giuseppe Perrella).